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Oltre l'arte - “Magnificat. Poesie 1969-2009.” di Cristina Annino.

Desidero parlare della poetessa e pittrice Cristina Annino che ha scritto per il mio libro di foto una bellissima introduzione.

Per questo riporto un breve commento scritto da Nadia Agustoni sul blog:
http://www.nazioneindiana.com

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Un poeta è una voce. A volte, nella grande poesia, la voce è distanza e vicinanza insieme. Ci sono autori appartati che ci vengono incontro per un sorta di fortuna e aiutano chi non smette mai di cercare, interrogare le parole, perché proprio nella concretezza della parola un poeta dice qualcosa di sé e del mondo. Allora in tali autori più che in altri, noi stessi siamo messi nella condizione di comprendere ciò che realmente ci danno: la nostra libertà. Ed è moltissimo. In anni avari con i poeti Cristina Annino ha scritto versi che nella loro limpidezza hanno il segno faticoso dell’essere qui, in questa terra e in un tempo pervaso dall’insignificanza. In tale condanna all’insignificanza, per noi generazione di poeti giunta dopo gli anni ottanta, Annino ci arriva come un miracolo. Giacché il nostro è un pellegrinaggio interminabile alla ricerca di un significato che troppo spesso ci porta a parole che scavano il dolore senza salvare.
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Una delle sue opere pittoriche:

[ Cristina Annino Dopo c'è l'acqua acrilico su tela, cm 60x80, 2004 ]

Tratta dal libro “Magnificat. Poesie 1969-2009.” di Cristina Annino


--Poiché il poeta e la bestia hanno lo stesso destino.---


[ Per Lei, si intende la poesia. Per Lui, il poeta che concepì la prima lirica all’età di cinque anni nel paese di San Giminiano, noto per le sue torri. Koko è il gatto siamese dell’autore. Il resto va da sé. ]


1
L’origine

Lui la rese cortese come
fossero in città e non nel paese fisico
delle torri. La portò
al bar non parlandole da paesano.
Lei
che aveva giacche più blé della
lana su una nave e oro al collo.
Tutt’insieme gli stava davanti, brutta
merce, piccina; poi accese
un sigaro misericordioso sul
cruscotto della radio, frullando
sopra lui dita di carne o
branchie o come fosse un
affare. Gli disse, in
scarpe di quinta elementare,
che
sarebbe stato il vero
padrone del mondo.



2
E questa tristezza chi la fabbrica?

Lo guarda con compressione, con
stato morale, fisico, di mente, con suo
padre, madre, gente della vita. Col
macello dell’ansia e gli eventi del viso,
i suoi tic. Somiglia
lentissimamente a un Dürer, così solo
pelle, o una lancia; il codice
fiscale tra le ciglia.

S’acquatta sulle gambe e la Storia è
lì, con Darwin e le scimmie (Dio ora
e sempre salvi dell’universo quelle!).
Gli dà
stanze solo, non libri che a
guardarli peggiora.



3
Lui nella fanghiglia

Finita la merce, i crepacci, tira
su le braccia da questo fango.
Dicendo che
libidine, tanto per
dire, oppure ci viaggia un’ossuta
volgarità. I miei versi in camicia!
Sarò
breve: non mangia fegato di
maiale, ci vede del sacro. Condannato
dall’aurora in cui vive, ogni
animale
che trova lo benedice, lo
mette in trono, s’inginocchia
davanti com’al cervello. Lui
vasto vento poderosamente
quieto, ché peggio.



4
Lavoro inutile.

Ma deve produrre ed è
talco con vibrisse d’addio. Si
fracassa così da questi picchi.
Spera
al centesimo d’ora che mangia, vive
senza preghiere abbeverando
pozzi, corre
sopra di sé nella stuoia di
io, sempre senza compenso sui
batuffoli delle strade. Sul tempo
magari ch’a vederlo, fa pena,
fa il proprio il dovere, con la
coda così e il corpo diviso, partito in
direzione delle mani; quei cinque di
vento – ci scommetterei – senza
pace.



5
Oramai, la sua Bella

Stà con la
Follia dentro casa. Spesso la
mette al muro davanti al
lettone ricciuto “sii per favore una
zuppa di triglie e mortifera quanto
il mare”. La
scuoierà, e intanto la
palpa succhiando tempeste con
la mano conifera. Stando così, lui
muto tocca il fondo di
sé, con quel
suo modo di fumare unico, col
resto anche e la Gran Cotta. Non
racconta di lei niente a nessuno.



6
Qui bisogna descrivere cos’è Koko

Koko nano, seduto
sul letto, si strappa i capelli, tutto
mento, quadrato, passa
i muri com’un’ascia. Su chi
contare non sa, sul pentagramma
o i piatti da
lavare. E la vita s’inchina
agli amici spariti nel
terremotino di cinque
anni. Una guerra, le dita
di quella mano.
Perché? “ma che
storia, la nevralgia mortale,
ancora
frattaglie, pianti a ogni
cantone di casa. Orribile
visu”. Vorrebbe
spaccarsi l’udito per ridargli
il dovuto. Ma quel collare! Koko sa
di stracci che seccano
arterie in biblioteche
a iosa. E allora, per
pace pronobis in terra – gli
dice – giacché tu lo
puoi, dacci musica
vera, invece!



7
Conniventi

La pesca ovunque, fosse
sotto le mattonelle, poi alza
la chiave e l’ingoia piangendo.
Mai
pensando al cervello. Mai. La
fotografa con se
stesso, sezionare, compiangere e
calarsi le braghe e avere
tormento. La sua
vita torta ficcandole dentro
a pistolettate.
Eppure,
con pallore geloso ogni volta,
lei ritira a sé quelle
foto come reti da pesca.



Cristina Annino, da Casa D’aquila,
Levante Editori 2008


http://www.anninocristina.it